Sole 24 Ore, Maria Cristina Urbano: Le associazioni di categoria presidio necessario per la democrazia
Sole 24 Ore, Maria Cristina Urbano: Le associazioni di categoria presidio necessario per la democrazia
ASSIV si pone come riferimento per gli associati e i loro lavoratori per dialogare con istituzioni e sindacati. Obiettivo: mediare tra posizioni anche distanti
Forte di tanti anni di vita aziendale e associativa, mi corre l’obbligo di pormi la domanda se i corpi intermedi abbiano ancora un ruolo e, nel caso, se tale ruolo abbia uguale natura rispetto a ciò che il costituente volle riconoscere loro dopo la grande crisi della democrazia sfociata nella Seconda Guerra Mondiale.
Le vicende legate al rinnovo del contratto del comparto dei fiduciari e della vigilanza armata, faticosamente e dolorosamente protrattesi per tanti anni e che solo negli ultimi mesi ha trovato positiva composizione, mi inducono a credere che le ragioni profonde per le quali si volle riconoscere ai corpi intermedi una funzione centrale nella nuova architettura costituzionale restano più che mai valide. Una trattativa, quella per il rinnovo del CCNL di comparto, che ha mostrato tutte le crepe sistemiche conseguenti la frammentazione della rappresentanza datoriale e la difficoltà delle organizzazioni sindacali di possedere una effettiva capacità di rappresentanza.
Condizioni, queste, che hanno origine a cavallo tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ’90 dello scorso secolo e vieppiù aggravatesi; sintomo, tra i tanti, della profonda crisi del nostro sistema democratico e delle modalità di partecipazione alle decisioni collettive. Sistema che denota criticità endogene sempre più gravi, sottoposto al contempo alla pressione inesorabile del fattore esogeno riconducibile alla globalizzazione. Il combinato disposto di queste pressioni porta al paradossale risultato di una società le cui storiche componenti vanno annullandosi in un globalismo informe e al contempo in un individualismo esasperato in una contraddizione solo apparente: quando la collettività si compone solo di “io” e non di “noi”, se la capacità delle entità statuali di difendere gli interessi delle comunità si dissolve a vantaggio di poteri economico-finanziari dalla identità opaca e indefinibile, allora si pongono le basi perché anche imprese e lavoratori non possano più vedere rappresentati i loro legittimi interessi mediante un fisiologico processo di confronto che, partendo dal basso, giunga a trovare una sintesi efficace attraverso molteplici livelli. È questa, in breve, la qualificante funzione dei corpi intermedi in un sistema genuinamente democratico, capace di fare sintesi tra istanze particolari per trasformarle nell’interesse generale. L’alternativa è il prevalere del più forte, il perseguimento del mero interesse egoistico che, senza guida, si sostanzia nell’esatto contrario di quanto sostenuto non senza ironia da de Mandeville nella sua “Favola delle api”.
Quello sinora descritto, a mio parere, è un processo che pone davvero in crisi (forse irreversibile, anche se il solo pensarlo pone i brividi a chi si è formata alla scuola del pensiero liberale) la società democratica di stampo occidentale come la conosciamo e che ha riflessi materiali in molti aspetti della nostra vita quotidiana. Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che i corpi intermedi sono stati un fattore fondamentale per lo sviluppo civile ed economico del nostro Paese. Le associazioni di categoria e i sindacati, prima attori fondamentali del confronto tra le parti sociali, tra queste e lo Stato, tra centro e periferie, capaci di mettere a sintesi istanze confliggenti e di trovare le convergenze necessarie e le indispensabili mediazioni, oggi soffrono di una profonda crisi di rappresentanza che si ripercuote negativamente anche su aziende e lavoratori. Lasciando in tal modo incontrastata la voce del più forte, che si tratti di una singola azienda o di un agguerrito ma largamente minoritario gruppo di lavoratori. Tale stato di cose non può che esacerbare le difficoltà e, lasciate sole dinanzi la loro impotenza, le componenti sociali, ormai disarticolate, non potranno che contribuire ad aumentare l’entropia del sistema. Autori ben più autorevoli della sottoscritta hanno provato a descrivere le linee di tendenza che conducono le civiltà al collasso. Non si tratta, in questa sede, di arrangiare ardite teorie catastrofiste, ma è bene tenere a mente che una società, come un palazzo, non può sostenere a lungo la disarticolazione delle proprie colonne portanti.
La politica non è in questo esente da colpe, per aver avviato o almeno facilitato tale processo, nella infondata convinzione che i corpi intermedi non costituissero più un valore aggiunto ma solo un intralcio rispetto i tempi della decisione politica, che si sono fatti progressivamente più frenetici. Decretando così l’inevitabile marginalizzazione dei partiti e l’affermarsi del personalismo dei leader politici, che ha a sua volta minato dal di dentro i meccanismi di selezione della classe dirigente. Ma anche associazioni datoriali e sindacali hanno perversamente contribuito al loro progressivo indebolimento per il miope perseguimento di interessi corporativi, perdendo di vista il ruolo centrale che la costituzione ha loro affidato. Anche singole imprese, capaci di raggiungere un ruolo di leadership per le posizioni dominanti che hanno saputo costruirsi nei mercati di riferimento, forti del loro potere contrattuale, si sono illuse di poter fare da sole, abbandonandosi ad un protagonismo che ha dato loro l’illusione di poter imporre i loro interessi immediati, mentre invece contribuivano a porre le condizioni per la loro ininfluenza nel lungo periodo.
Occorre avere il coraggio e l’umiltà di tornare a riconosce alle organizzazioni datoriali il ruolo fondamentale di rappresentanza cui queste sono vocate, perché capaci di mediare efficacemente tra posizioni anche distanti, sulla base della corretta conoscenza e valutazione dei dati di fatto, nell’auspicio che possano tornare a fornire il loro contributo alla crescita, anche culturale e valoriale, del nostro Paese.
Con umiltà ma determinazione, ASSIV pone tutte le sue energie nel continuare a porsi come ineludibile riferimento per i propri associati, e indirettamente per i loro lavoratori, per dialogare costruttivamente con istituzioni e sindacati, perché non è possibile abdicare a tale funzione senza portare la responsabilità di contribuire alla più generale crisi del sistema con cui prima o poi dovremo fare i conti.
Questo, d’altronde, è ciò che chiedono i cittadini. Un recente studio realizzato da Ipsos per conto della Fondazione Astrid rileva che il 70% degli italiani considera il ruolo dei corpi intermedi strategico per permettere al Paese di ripartire, ma meno del 50% dei nostri concittadini ha fiducia nei partiti, nelle organizzazioni datoriali e sindacali. È evidente come recuperare tale deficit di credibilità debba essere una priorità. L’errata concezione per la quale nella società contemporanea l’accesso illimitato all’informazione renda inutili le realtà organizzative intermedie tra individuo e Stato si traduce materialmente nell’impossibilità di far valere le legittime ragioni della massa non organizzata. Nulla di nuovo, si dirà, la teoria delle lobby è stata formulata già nell’immediato secondo dopoguerra. Ma se il nostro Paese rincorre da decenni, senza successo, l’obiettivo di una regolamentazione normativa dell’attività di rappresentanza di interessi, mi verrebbe da dire provocatoriamente che forse ciò è anche dovuto al fatto che stanno venendo meno proprio i soggetti che naturalmente ed istituzionalmente dovrebbero svolgerla.
ASSIV non intende rassegnarsi a tale visione e continuerà con coerenza a ribadire la centralità di una forte e unitaria rappresentanza datoriale, perno di quel confronto che, solo, potrà garantire al nostro comparto il futuro che merita.
Maria Cristina Urbano
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