Innalzamento del tetto al contante, la verità sta nel mezzo
Innalzamento del tetto al contante, la verità sta nel mezzo
di Maria Cristina Urbano
Non si tratta di favorire l’economia sommersa né di limitare la libertà di impresa. Mi pare di poter affermare che un’eccessiva limitazione al contante comporta costi certi a fronte di benefici incerti. Limitarsi a generiche affermazioni di principio non solo è fuorviante, ma le conseguenti azioni normative rischiano di affossare segmenti importanti dell’economia reale.
Tra le prime misure prese dal governo Meloni ve ne è una di particolare interesse per il comparto che rappresento, mi sto riferendo all’innalzamento del limite all’utilizzo dei contanti.
Il settore del trasporto valori e del trattamento di denaro, infatti, è dalla norma riservato in via esclusiva agli istituti di vigilanza privata (qualora non vi provvedano le forze dell’ordine) e le politiche restrittive alla circolazione del contante che sono state portate avanti dai governi che si sono succeduti nelle ultime legislature hanno influito negativamente sul settore, effetto che si è andato sommando alla profonda crisi dovuta alla pandemia da Covid-19, con un effetto combinato che ha avuto un impatto esponenziale. E così aziende che hanno investito molto nella formazione del proprio personale, in mezzi e tecnologie all’avanguardia, in centrali operative e caveau tra i più moderni, si sono trovate costrette ad accelerare un processo di ristrutturazione in un momento di contingenza negativa per tutto il comparto degli IVP.
Prima di intervenire su questo tema, ho preferito aspettare che si depositasse un po’ del polverone sollevato dall’annuncio della misura, sia per capirne esattamente la portata (alcune forze politiche avevano chiesto massimali ben diversi da quelli inseriti nel decreto-legge), sia per tirarmi fuori dalle beghe delle opposte tifoserie secondo le quali si tratterebbe per gli uni di una norma che favorirebbe il nero, per gli altri di una norma a favore della libertà di impresa. La verità, come spesso accade, probabilmente è nel mezzo.
L’articolo 6 del cd. DL Aiuti-quater innalza la possibilità di pagare in contanti fino a 5.000 euro. Certo, si tratta di un provvedimento che deve essere ancora convertito in legge, ma la sensazione è che il governo la consideri una misura identitaria e quindi difficilmente accetterà un compromesso al ribasso.
Su queste stesse pagine sono già intervenuta a sua tempo ricordando come Yves Mersch, ex membro del Consiglio Direttivo Bce, avesse scritto a fine 2020 una lettera indirizzata all’allora Ministro dell’Economia Gualtieri, nella quale affermava che l’iniziativa portata avanti dall’allora governo Conte 2, di un graduale divieto di utilizzo dei contanti per pagamenti superiori a 1.000 euro e il contestuale meccanismo del cashback, fosse “sproporzionata alla luce del potenziale effetto negativo che tale meccanismo potrebbe avere sul sistema di pagamento in contanti ed in quanto compromette l’obiettivo di un approccio neutrale nei confronti dei vari mezzi di pagamento disponibili”.
D’altronde il punto è pressappoco lo stesso di qualche tempo fa: se da un lato infatti non è dimostrato che la limitazione all’uso del contante generi un risultato significativo nella lotta all’evasione, dall’altro, come ricordato dallo stesso Mersch, “la possibilità di pagare in contanti rimane particolarmente importante per taluni gruppi sociali, che, per varie legittime ragioni, preferiscono utilizzare il contante piuttosto che altri strumenti di pagamento. Il contante è altresì generalmente apprezzato come strumento di pagamento in quanto, quale corso legale, è ampiamente accettato, è rapido e agevola il controllo sulla spesa di chi paga, […] i pagamenti in contanti agevolano l’inclusione dell’intera popolazione nell’economia consentendo a qualsiasi soggetto di regolare in contanti qualsiasi tipo di operazione finanziaria”.
Debbo dire che, nello scontro ideologico tra bianchi e neri, la mia personale opinione collima sostanzialmente con le ben argomentate affermazioni di Mersch. Non si tratta di favorire l’economia sommersa né di limitare la libertà di impresa. Trattandosi in fin dei conti di economia, ci si dovrebbe limitare a valutare costi e benefici della misura. Mi pare di poter affermare, in proposito, che una eccessiva limitazione al contante comporti costi certi a fronte di benefici incerti. Sarebbe utile, in proposito, acquisire i dati dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza in merito agli effettivi benefici alla lotta all’economia sommersa derivati dalla limitazione a 1.000 nei pagamenti in contanti. Limitarsi a generiche affermazioni di principio non solo è fuorviante, ma le conseguenti azioni normative rischiano di affossare segmenti importanti dell’economia reale.
Ciò che in questa sede voglio evidenziare è che lo Stato deve occuparsi dell’educazione finanziaria dei suoi cittadini, garantendo al contempo piena e certa applicazione delle norme vigenti. Coprire le mancanze del sistema rispetto a questi due compiti con una foglia di fico che nei fatti comprime la libertà di cittadini e imprese, anche soltanto sulla scelta dello strumento di pagamento, evidenzia una debolezza piuttosto che indicare una strada.
Leggi l’articolo sull’Huffington Post